La maternità surrogata è una tecnica di riproduzione assistita in cui una donna, detta surrogata, porta un bambino che non sarà legalmente sua.
Viene utilizzata sia nei casi in cui la surrogata mette a disposizione il proprio utero in cambio di compenso, sia in quelli in cui lo fa volontariamente. In molti paesi, la maternità surrogata è considerata illegale. Commissioni di bioetica in vari paesi condannano questa pratica, almeno quando avviene per compensi, e condividono il principio che il corpo umano e le sue parti non dovrebbero essere utilizzati come fonte di profitto, e che la maternità surrogata è un contratto che mina la dignità della donna e del bambino soggetto ad un atto di trasferimento. Le principali questioni bioetiche e legali legate alla pratica della maternità surrogata riguardano: l’esistenza o meno di un diritto sul bambino, la mercificazione del corpo e/o delle sue parti, la donazione del corpo e/o delle sue parti, la possibile interruzione del contratto, l’applicazione del diritto contrattuale privato alla maternità surrogata. Un embrione e un feto sono forme di vita umana individualizzate, uniche e con caratteristiche specifiche date dall’eredità genetica. L’embrione è caratterizzato da una qualità fondamentale della vita, ossia l’auto-organizzazione e l’auto-finalizzazione, e non può essere classificato come un oggetto inanimato o vegetale, ma come un animale appartenente alla specie umana. C’è una perfetta continuità esistenziale e biologica tra l’essere che vive nella surrogata e quello che vive al di fuori di essa dopo la nascita, e quindi ogni bambino concepito è un essere umano. Ci sono situazioni legali in cui l’essere umano è considerato come un oggetto, ad esempio nel caso dell’aborto, ma queste sono situazioni eccezionali e non estendibili per analogia e non è una condizione reificata imposta dalla legge. In generale, la maternità surrogata è considerata una questione controversa perché implica la disponibilità del proprio corpo da parte della donna, con conseguente limitazione della libertà e lesione della dignità. Questa pratica può essere paragonata alla schiavitù, poiché entrambe limitano le libertà e la dignità delle persone. Inoltre, la donazione dell’utero per la maternità surrogata non è gratuita e non viene fatta a beneficio degli altri, ma solo per soddisfare i desideri di altre persone. Pertanto, in un equilibrio tra i desideri degli individui e i diritti all’integrità fisica e alla dignità della donna, quest’ultima dovrebbe avere la priorità.
È evidente che ci sono prospettive diverse sulla questione dell’aborto nelle pratiche di maternità surrogata. Un punto di vista è che la decisione di interrompere la gravidanza dovrebbe appartenere esclusivamente alla madre gestante, poiché è lei a vivere le conseguenze e i rischi della gravidanza. Questa visione tiene anche conto solo dei diritti della madre e non dei diritti del bambino, che è la parte più vulnerabile della situazione. Si presume inoltre che sia possibile rinunciare ai diritti genitoriali senza considerare i corrispondenti diritti del bambino. La conseguenza logica di questo approccio è la degradazione del bambino da soggetto ad oggetto di legge.
Un’altra prospettiva è che nel caso di anomalie fetali, il potere decisionale legale dovrebbe essere dato ai genitori commissionanti, poiché saranno responsabili delle cure del bambino dopo la nascita. Questa visione suggerisce che il contenuto del diritto alla privacy – ovvero l’assegnazione del potere decisionale – dovrebbe essere determinato tenendo conto delle relazioni sociali coinvolte. La conseguenza di questo approccio è che se i genitori commissionanti decidono di abortire e la surrogata decide di non essere d’accordo, o l’esecuzione del contratto può essere forzata, o la responsabilità del neonato rimarrà con la madre gestante, poiché avrebbe violato il rapporto contrattuale che la lega ai genitori commissionanti.
La questione dell’applicazione dei contratti di maternità surrogata riguarda la capacità di imporre la volontà dei genitori contrattuali su quella della surrogata, sia per quanto riguarda la decisione di interrompere o continuare una gravidanza. Alcuni sostengono che questa capacità sia necessaria per garantire gli interessi e le risorse economiche dei genitori contrattuali, mentre altri sostengono che trattare gli esseri umani come oggetti di legge viola il diritto alla salute delle persone coinvolte e costituisce una forma di schiavitù temporanea sanzionata contrattualmente. Inoltre, la questione dello status personale delle persone coinvolte, come i donatori/venditori di gameti, la surrogata, i genitori contrattuali e il bambino, è complessa e merita ulteriori approfondimenti. Si osserva che il diritto e le discipline legali non possono scollegarsi completamente dalla realtà e dalla verità per diventare completamente auto-referenziali, ma non è neanche possibile ignorare l’etica e la realtà abbracciando il relativismo. Nel caso dei genitori dello stesso sesso indicati in un certificato di nascita, è importante considerare la realtà della biologia e i diritti del bambino, nonché le considerazioni etiche, per evitare che si ripetano errori passati. Inoltre, applicare il diritto dei contratti alla maternità surrogata solleva questioni problematiche e può portare alla frammentazione delle figure genitoriali, in particolare della figura materna, causando potenzialmente danni alle persone nate attraverso la maternità surrogata. È importante che il diritto sia ancorato alla realtà e non ignori l’etica al fine di garantire che i diritti e il benessere di tutte le parti coinvolte siano tutelati.
Questioni etiche
La questione etica riguardante il rifiuto della personalità umana nell’utero è complessa e dipende da diverse posizioni bioetiche. Alcune di queste posizioni sostengono che l’essere umano nell’utero non è ancora una “persona”, poiché non ha ancora sviluppato il sistema nervoso centrale o non è ancora in grado di avere relazioni interpersonali. Altre posizioni sostengono che i dati biologici non sono rilevanti per determinare lo status ontologico del concepito e che il valore della vita umana dipende dalle relazioni interpersonali. Ci sono anche posizioni che sostengono che l’essere umano nell’utero è già una persona, che ha il diritto alla protezione e al rispetto. In generale, la questione etica riguardante il rifiuto della personalità umana nell’utero è ancora oggetto di dibattito e non esiste una risposta univoca.
L’antinaturalismo sostiene che la relazione con gli altri è la chiave per classificare un individuo come persona. Tuttavia, negare il fatto che il concepito sia già un essere umano distinto e in relazione con la madre e gli altri, ridurrebbe l’antinaturalismo a una forma di sensismo culturale che sceglie arbitrariamente una caratteristica per discriminare tra esseri umani e non umani. Il funzionalismo, d’altra parte, confonde il piano dell’essere con quello dell’agire, frammentando il soggetto in una serie di azioni e operazioni senza un soggetto a cui riferirle. Questo crea un cortocircuito logico difficile da superare. In entrambi i casi, per escludere il concepito dalla categoria delle persone, è necessario dichiarare che le sue condizioni non sono sufficienti a questo. Tuttavia, anche tra i nati ci sono individui che mancano di una o più delle caratteristiche indicate e che potrebbero quindi essere considerati non persone secondo uno o più di questi sistemi. La domanda che sorge è se sia prudente escludere alcuni individui dalla categoria delle persone e negare loro i diritti e le protezioni correlate. Forse sarebbe più saggio, seguendo l’argomento del dubbio, proteggere tutti come se fossero persone, data la certezza biologica e la natura ipotetica dei parametri utilizzati per determinare chi è una persona e chi non lo è. La legalizzazione dei desideri come diritti e la coincidenza tra ciò che è tecnicamente possibile e ciò che è legale sono questioni complesse e controverse. Il giurista Piero Calamandrei sosteneva che la legge consiste non solo nel permettere ad ogni individuo di fare ciò che vuole, ma deve anche tener conto dei diritti degli altri. Riguardo alla maternità surrogata, ad esempio, ci sono questioni etiche e legali legate ai diritti del concepito, della madre surrogata e dei genitori biologici. Inoltre, la questione dell’identità biologica e storica dei bambini e delle persone è importante per motivi di salute e psicologici. La conoscenza delle proprie origini biologiche può aiutare a prevenire malattie ereditarie e a costruire un’identità personale sana. Tuttavia, la legislazione sulla privacy e sulla donazione/vendita di materiale genetico può rendere difficile per i bambini conoscere la loro vera identità.
In sintesi, le questioni etiche legate alla maternità surrogata riguardano la potenziale imposizione della volontà dei genitori contrattuali su quella della surrogata, che si tratti della decisione di interrompere o continuare la gravidanza. Ci sono anche questioni sullo status personale di coloro coinvolti, come i donatori/venditori di gameti, la surrogata, i genitori contrattuali e il bambino, che sono complesse e meritano ulteriori approfondimenti. La questione della persona del feto è altrettanto complessa e dipende da diverse posizioni bioetiche. Alcuni sostengono che il feto non è ancora una “persona” perché non ha ancora sviluppato un sistema nervoso centrale o non è ancora in grado di stabilire relazioni interumane. Altri sostengono che i dati biologici non sono rilevanti per stabilire lo status ontologico del concepito e che il valore della vita umana dipende dalle relazioni interpersonali. Ci sono anche posizioni che sostengono che il feto è già una persona, che ha diritto a protezione e rispetto. La questione del rifiuto della personalità umana del feto è ancora oggetto di dibattito e non esiste una risposta chiara. Potrebbe essere prudente proteggere tutti come se fossero persone, data la certezza biologica e l’ipotetica natura dei parametri utilizzati per determinare chi è una persona.
La maternità surrogata può portare a situazioni in cui un bambino è separato dai propri genitori biologici, creando potenziali problemi psicologici e di sviluppo. Nonostante le teorie scientifiche che supportano l’indifferenza delle figure genitoriali, non esistono prove concrete a sostegno di questa affermazione. Pertanto, sarebbe opportuno evitare sperimentazioni sociali sui bambini e cercare di garantire loro il miglior ambiente possibile per lo sviluppo e la crescita, basato su dati solidi e metodi scientifici corretti. La maternità surrogata è una questione complessa e sfaccettata che coinvolge molteplici questioni bioetiche e sociali. Solitamente viene analizzata dal punto di vista della madre gestante e dei genitori sociali, ma questo trascura l’impatto sui diritti dei bambini concepiti. La mia proposta è di mettere i bambini al centro della discussione, considerandoli non come oggetti ma come soggetti di diritti e di promuovere un cambiamento di prospettiva per un’analisi bioetica più completa della maternità surrogata.